Il titolo volutamente curioso che ho scelto per questo post ha a che fare con uno dei pilastri del coaching. E’ un principio secondo il quale esistono abitudini, abilità, comportamenti che fanno parte della nostra quotidianità e che siamo soliti replicare, anche solo in forma di pensiero. Questi confini definiscono la nostra zona di comfort, ovvero uno spazio immaginario dove ci risulta agevole esprimerci e che definisce tutto ciò che per noi è di ordinaria amministrazione.
Ogni persona ha definito nel tempo la propria zona di comfort e al suo interno vive e si identifica. Ciò che può essere comfort per un individuo può terrorizzarne un altro, ciò che può essere facile per l’uno può essere un’impresa per l’altro, ma la cosa curiosa è che tale valutazione non dipende dall’effettivo grado di difficoltà di un’azione, quando dall’abitudine del soggetto a compierla e quindi dalla sua percezione soggettiva.
Per esempio, per mia madre, abituata a un lavoro di ufficio e per lo più solitario, sarebbe una gran fatica prendere la parola in un’aula colma di duecento persone lì apposta per sentirla parlare, mentre per un trainer che tiene corsi ogni weekend il public speaking è ordinaria amministrazione. Ma forse quello stesso trainer non si sentirebbe sereno e sicuro davanti a un bilancio da redigere o a una verifica fiscale durante la quale documentarlo davanti agli ispettori, cosa che mia madre affronta con un atteggiamento privo di qualsiasi emozione particolare, perché lo fa da anni e sa di farlo bene.
Ciò che cerco di insegnare agli atleti, ai professionisti e in generale a tutti coloro con cui lavoro, è abituarsi ad agire frequentemente fuori dal comfort. C’è una contraddizione in termini nella frase precedente: se davvero ci si abituasse a stare fuori dalla propria zona di comfort, allora farlo sarebbe… comfort. Quella che cerco, tuttavia, è una condizione di continua, sistematica e voluta “sfida” rispetto a ciò che generalmente temiamo.
In sostanza, voglio che le persone che lavorano con me si allenino a provare disagio. Qual è il motivo?
Il perché è molto diretto e semplice: se ti sforzi di trascorrere una quantità di tempo sufficiente nel fare ciò che ti mette a disagio, accadono due cose molto importanti.
- Primo, impari. L’apprendimento è maggiore nel disagio che nell’agio, perché gli stimoli sono di più e sono meglio ascoltati, i sensi più acuti, i pensieri più profondi e ricercati. Il cervello impara dalle differenze e se gliene sottoponi è come se lo stessi nutrendo.
- Secondo, dopo un certo tempo la sensazione di disagio scompare e ciò che prima era al di là della tua zona di comfort, diventa il suo nuovo confine. Ecco quindi che è avvenuta la crescita, il miglioramento, l’apprendimento di una nuova abilità che sarà funzionale al raggiungimento dei tuoi obiettivi.
Mantenendo lo stesso esempio, se mia madre oggi parlasse in pubblico probabilmente lo farebbe in uno stato di tensione e preoccupazione, ma se lo facesse consecutivamente per qualche settimana, è certo che tra un mese riuscirebbe ad affrontare e gestire una sala con molta più tranquillità. La ripetizione, base di ogni abilità, trasforma il disagio in neutralità emotiva, quando non in piacere ed entusiasmo.
Il senso di imbarazzo e di impedimento che riassumiamo nell’etichetta disagio acquista quindi una valenza molto importante: si tratta di un indicatore, un segnale che ci dice se ciò che stiamo affrontando è dentro o fuori la nostra zona di comfort.
Non è necessario, naturalmente, sforzarsi di vivere sempre fuori dal comfort (sarebbe oggettivamente una vita infernale) ma è importante per la nostra crescita e soprattutto per la crescita delle nostre abilità ricordarsi di creare le condizioni di disagio saltuariamente, anche se forse sarebbe meglio dire spesso.
Perché non provarci? Disagio non deve avere per forza una connotazione negativa: si tratta, come visto, solo di un segnale che la nostra mente ci dona per avvertirci che alcune cose stanno accadendo. Nello specifico, qualcosa di importante.
Pensa adesso a qualcosa che fino a oggi ti aveva sempre messo a disagio. Potrebbe essere prendere la parola in una riunione, cantare in pubblico, esprimere al tuo allenatore una perplessità, rivolgere la parola a uno sconosciuto, chiedere un aumento di stipendio, far rispettare un tuo diritto a chi lo calpesta, chiedere lo scontrino dopo un acquisto, condurre una trattativa di vendita. Non è importante che cosa, è importante che sia qualcosa fuori dalle tue abitudini perché finora ti spaventava, ti infastidiva e preferivi, per questo, evitarlo.
Chiudi gli occhi e immagina di averlo già fatto, concentrandoti sulla sensazione liberatoria che provi quando superi un ostacolo che fino a ieri ti aveva fermato. Nota come è facile andare oltre un limite che era solo immaginario e presta attenzione alla soddisfazione che provi. Una volta finito, è facile notare che non era niente di terribile e di certo non c’era da averne paura.
Ripeti questa semplice visualizzazione per qualche giorno, meglio se più volte al giorno. Noterai che ti viene sempre più spontaneo accelerare i tempi così che il momento in cui compi quella determinata azione arrivi in fretta: sta cominciando a piacerti.
Quando sei pronto, ripetilo nella realtà agendo esattamente come hai fatto nella tua immaginazione, e ti accorgerai che sarà molto più facile (e forse proprio divertente) uscire dal comfort e allargarne così i confini.
Quando indossi per la prima volta un paio di scarpe nuove, le sentirai scomode, anche se sono perfette, mai usate. Se le confronti con il vecchio paio con cui hai camminato fino a ieri ti accorgi che sono evidentemente più belle, migliori, eppure averle addosso ti dà un leggero fastidio. Camminaci un paio di giorni e quel fastidio scomparirà, lasciandoti libero di goderti il piacere di indossarle.
Quello di allenarsi a stare fuori dal comfort, tra le altre cose, è un altro modo per accrescere la tua autostima e identifica un’abitudine che ti aiuta a migliorarti e a evitare che un uso non ideale della tua mente ti impedisca di fare ciò che invece sei perfettamente in grado di gestire.
L’allenamento mentale ha quindi tra i suoi obiettivi anche l’abituarti al disagio, così che questo generi arricchimento e consapevolezza.
Grazie per la tua attenzione e a presto.
PS: interessante è anche la definizione che i vocabolari dedicano al termine disagio, cioè condizione o situazione sgradevole per motivi morali. Si tratta in sostanza, quindi, di un’invenzione, frutto di ciò che c’è nella nostra testa, che per fortuna si può adeguatamente cambiare.
Sono specializzato in coaching e lo rendo facile: aiuto le persone a raggiungere e migliorare i risultati sportivi, lavorativi e personali. Curo e gestisco da oltre 15 anni diversi siti web dedicati al coaching e sono autore per Sperling & Kupfer.
Ho all’attivo più di 350 collaborazioni con sportivi, professionisti, aziende.
Sono specializzato in tecniche di allenamento mentale e appassionato di comunicazione efficace.
2 Responses
Ciao francesco e grazie per il tuo utilissimo articolo.
Io ho già sperimentato su me stessa la validità del metodo, facendo allenamento mentalmente e poi affrontando le situazioni che potrebbero mettermi disagio, e ho realizzato che effettivamente il risultato aumenta l’autostima. L’ho fatto anche recentemente chiedendo lo scontrino (l’esempio che fai tu) ad un esercente che ha l’abitudine di non farli, poi mandando un reclamo all’azienda trasporti urbani della mia città… e poi altro.
Quando ti rendi conto che è meno difficile di quanto possa sembrare, sono come le ciliegie: una tira l’altra.
Grazie, Mariella, per aver contribuito con la tua esperienza. Bellissima l’idea delle ciliegie… 🙂