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La "crisi" dello sportivo e come uscirne

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Chiunque segua uno sport perché appassionato, oppure lo pratichi ad alto livello, ha osservato o sperimentato che possono esistere periodi in cui un atleta entra in crisi. Locuzione che usiamo per descrivere una situazione in cui non si riesce più a fare in gara ciò che prima veniva naturale: se corri non fai più il tempo, se giochi a calcio sbagli spesso o non segni più, se tiri a canestro le tue percentuali crollano rispetto al periodo appena passato.

atleta in crisiI professionisti che hanno carriere lunghe decenni incontrano sulla loro strada, quasi di sicuro, uno o più periodi di crisi e saperli gestire al meglio è sintomo di grande forza mentale. In quelle settimane, infatti, l’atleta soffre, spesso non capisce perché gli sta accadendo proprio questo, oppure lo capisce ma non sa come uscirne. Prendendo in considerazione periodi di tempo più brevi, come ad esempio la durata di una stagione sportiva, anche al loro interno si evidenziamo momenti in cui tutto va alla grande e altri più complicati, in cui manca il risultato e la prestazione ricercata.

Perché questo avviene e, soprattutto, come evitare i periodi di crisi o limitarne al minimo la durata?

Nel mio lavoro di sport coach ho spesso l’opportunità di osservare da vicino grandi professionisti impegnati in allenamento e in gara e a volte di condividere con loro momenti di vita quotidiana. Mi riferisco al mangiare insieme, dormire nello stesso posto, giocare con i figli e in certi casi anche andare a fare la spesa. Non so che idea ci sia all’esterno del campione, ma temo che sia distorta. Molti si stupirebbero nello scoprire la routine quotidiana di una tennista di classifica, di un golfista fortissimo o di un calciatore affermato, perché noterebbero che è fatta di tanti piccoli gesti assolutamente comuni e di distrazioni e divertimenti che sono uguali a quelli di tutti, dal cinema alla passeggiata dopo cena.

Ma, a differenza di tutti gli altri, l’atleta professionista ha un impegno molto probante e non rimandabile: l’allenamento quotidiano.

Ovviamente esso dipende dallo sport praticato, ma quando il livello è alto la normalità è dedicare all’allenamento non meno di 2 o 3 ore al giorno, a cui si aggiungono eventuali terapie per il recupero, riunioni tecniche, corsi, viaggi continui in Italia e all’estero e tutto ciò che ruota attorno a una disciplina praticata ai massimi livelli. Diventa logicamente un lavoro a tempo pieno, spesso più impegnativo in termini di tempo di tante altre attività professionali, ed è proprio nello svolgere il lavoro dell’allenarsi che l’atleta può creare, se non sta attento, le condizioni giuste per una crisi di prestazioni.

Ecco come accade.

Premesso che nel corso di una stagione il fisico non rende sempre allo stesso modo, ma ha le sue oscillazioni in termini di resistenza alla fatica, brillantezza muscolare, recupero e così via, è nella testa (come sempre d’altra parte) che comincia a delinearsi la qualità della prestazione futura.

Se, infatti, l’atleta perde di vista i suoi obiettivi principali e soprattutto le motivazioni che li supportano, può cominciare ad allenarsi per inerzia, in quanto l’allenamento è parte della sua quotidianità, ma non può essere vissuto fisicamente ed emozionalmente sempre al massimo nel caso in cui, appunto, non si sappia esattamente ciò che si vuole ottenere in quella stagione e perché.

Così, comincia un periodo di allenamenti normali, non intendo con questo dire leggeri o svogliati, ma non sufficientemente intensi, basati a mantenere una condizione fisica e mentale stabile e non, come dovrebbe essere, a migliorarsi sempre e a divertirsi mentre ci si perfeziona. Magari tali allenamenti seguono un momento in cui si è fatto molto bene in gara, e quindi inconsciamente ci si rilassa un po’, oppure semplicemente perché si perde un po’ di giocosità e piacere in ciò che si fa, o ancora all’altro estremo perché si subisce la concorrenza e si gioca poco. Gli allenamenti, in definitiva, possono diventare un’abitudine come tante altre. Ciò di per sé non è un problema… fino al giorno in cui, sul campo di gara, si affronta un avversario che è al top. Cioè un avversario che ha più fame, si è allenato con più dedizione e intensità, è fisicamente più tirato, ha più voglia di vincere e di prevalere. In quelle condizioni, l’atleta rilassato non ha chance: verrà irrimediabilmente sconfitto e in certi casi anche clamorosamente.

Se ciò accade sporadicamente, fa semplicemente parte dello sport, come della vita: ogni tanto, si perde. Ma se avviene consecutivamente per un certo periodo di tempo, l’atleta comincerà a convincersi di non essere in un periodo fortunato… e qui la frittata è fatta: il focus mentale si è spostato dalla volontà di realizzare una prestazione ottima ai difetti di quello che si sta facendo in campo e ai problemi riscontrati. L’attenzione è altamente influenzata da tale focus e quindi, da quel momento in poi, tenderà a sottolineare ciò che conferma il sospetto dell’atleta (cioè il non essere in gran forma) mentre contemporaneamente darà poco peso a ciò che invece lo nega (anche in un periodo non particolarmente brillante si può infatti produrre una prestazione notevole, il problema è che ciò non è sistematico).

Questo dà il via, nella testa dell’atleta, alla nascita di convinzioni depotenzianti, ovvero vere e proprie credenze riguardo se stessi che suonano come “non sto bene in questo periodo“, “è un momento in cui non mi riesce niente“, “prima stavo meglio ma ora non più” e così via. Ovvio, infine, che con questi pensieri in testa, a volte anche radicati a livello inconscio, non si possa pensare di allenarsi correttamente e vivere nel modo migliore la condizione di atleta vincente. Se poi a tutto ciò si aggiungono situazioni personali che richiedono energie e non sono facili da gestire (problemi in famiglia, con il partner, instabilità contrattuale, pressioni ambientali, scelte societarie e tutto ciò che distrae l’atleta dal suo vero obiettivo) naturalmente la situazione può precipitare. In certi casi, così tanto che si creano anche le condizioni per vari infortuni, i quali a mio modesto parere altro non sono che il tentativo dell’inconscio (che ha una tendenza innata a “proteggerci”) di terminare questo circolo vizioso, costringendo l’atleta a fermarsi prima di fare ulteriore danno e avere così il tempo di ragionare con calma e risolvere i problemi.

Lo sport è pieno di esempi in cui questo schema, da me descritto ora in modo semplice e non approfondito ma assolutamente vicino alla realtà, si verifica e continua a ripetersi. In Italia è il calcio lo sport ad attrarre più attenzione e chiunque tra coloro che lo seguono e che stanno leggendo questo articolo riuscirà facilmente a individuare un calciatore che proprio in questo momento sta vivendo un periodo no. Queste cose accadono continuamente e continueranno a verificarsi fino a che non ci sarà la precisa volontà da parte degli atleti di curare anche la propria preparazione mentale in modo dettagliato e professionistico.

Il mental coach, infatti, può intervenire in qualsiasi punto di questa catena, ma è il modo più efficace per uscire rapidamente dal tunnel e far sì che l’alteta ricrei le condizioni per esprimersi al top è lavorare a monte. Dove è iniziata questa catena?

Dicevo, all’inizio del mio ragionamento, proprio nel momento dell’allenamento.

atleta successoUn atleta deve sempre sapere, durante tutta la stagione e più in generale durante tutta la carriera, che cosa vuole esattamente ottenere da se stesso e perché lo vuole. Cioè, deve avere chiari i suoi obiettivi, quelli della sua squadra e le motivazioni che li supportano. Ogni giorno è opportuno che riporti l’attenzione su di essi, in modo da indurre la propria mente e restare focalizzata su ciò che davvero conta.

Questo è uno dei modi migliori per stare sulla corda e avere voglia di allenarsi sempre con passione, disponibilità alla fatica, impegno e fiducia, per essere precisi nell’alimentazione e condurre vita regolare, per accettare i compromessi che inevitabilmente una vita da vero atleta impone e per dare il massimo in ogni momento in cui è necessario essere presenti.

E’ anche il modo migliore per prevenire periodi in cui non si riesce a fare in gara ciò che si prepara prima e per uscire da un momento no qualora ci si sia già dentro.

Vieni a scoprire cos’è lo Sport Coaching e perché allenare la mente può renderti un atleta più forte, in grado di vincere le sfide più importanti

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4 Responses

  1. Cristina ha detto:

    L’analisi del periodo di crisi è perfetta a dir poco. Prepararsi con obiettivi chiari allenandosi bene e …. se poi l’obiettivo (realistico) di una stagione non viene raggiunto? E’ qui che la mia esperienza “sul campo” fatica a trovare risposte…..

  2. Può capitare che un obiettivo, anche ben definito e tarato, venga raggiunto solo parzialmente. Ti confesso che è raro, se il lavoro fatto a monte è corretto.

    In quei casi, si prende ciò che c’è di buono nell’esperienza e lo si usa per migliorare ancora…

  3. vittorio ha detto:

    io pratico scherma , dove praticamente la testa è tutto , e ultimamente mi sto allenando tanto ma con rendimenti scadenti , mi sono sempre allenato con questa intensità ma è da un po che non riesco ad avere risultati previsti , o almeno a dare il massimo di me . In palestra vinco contro chi devo vincere , anche se mi sento comunque al 50 {5006f97825c401ae1fbf0d016c8db1fecdcf33beacaf14b90fc9ce1a51ab3d06} del mio potenziale attuale , e perdo , a volte di brutto, contro chi è alla pari con me . Le ultime due gare sono andate male e non sono riuscito a qualificarmi per la prova nazionale , ed ora non so come fare per riprendermi.

  4. Francesco ha detto:

    Ciao Vittorio, capire le ragioni della mancanza attuale di prestazioni che stai riscontrando richiederebbe qualcosa di più di un commento sul blog, ma capisco e conosco situazioni simili alla tua, sono abbastanza “tipiche”. Bisogna innanzi tutto capire che cosa fa di diverso il tuo cervello quando sa di doversi esprimere in palestra e quando invece è in gara.
    Ovviamente per “riprenderti” la cosa più intelligente da fare è ricominciare a lavorare, con il massimo dell’impegno e della passione che ti guidano, senza inizialmente avere in testa il risultato finale ma solo la riscoperta di quelle “sensazioni” che ti fanno capire che stai performando al tuo massimo. A presto.

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