Hai mai pensato a che cosa accade di preciso quando devi rispondere a una domanda? Probabilmente no: infatti, siamo programmati per rispondere a ciò che ci viene chiesto fin dalla più tenera età e lo abbiamo fatto così tante volte da rendere inconscio (o se preferisci talmente rapido da non avere più bisogno di esserne consapevoli) l’intero processo.
In realtà, nell’arco di tempo che intercorre tra la comprensione di una domanda che ti viene posta e la tua reazione, il cervello svolge moltissime operazioni complesse. Recupera informazioni dalla memoria oppure le raccoglie sul momento, se necessario intuisce o inventa parti mancanti della risposta, modifica il tuo stato emotivo, sceglie il tipo di feedback da fornire adattandolo al contesto, calibra il tono di voce, il linguaggio del corpo e la sintassi delle parole. E tutto questo è un’enorme semplificazione, perché i processi in atto sono decisamente più articolati e numerosi. In questo articolo dedicato al potere delle domande nel coaching – che fa parte della serie 30 esperienze e che quindi rispecchia la mia attività diretta di mental coach – non analizzeremo scientificamente come il cervello risponde alle domande, ma ti spiegherò come puoi usare le domande per essere una risorsa utile al tuo interlocutore.
Del potere delle domande parla diffusamente – come sempre con grande dettaglio – anche Anthony Robbins. In uno dei suoi primi manuali dedicati al cambiamento personale – uscito in Italia con il titolo “Come migliorare il proprio stato mentale, fisico, finanziario” – Robbins scrive:
Le domande hanno questi precisi effetti: cambiano immediatamente l’obiettivo su cui ci concentriamo e quindi il modo in cui ci sentiamo. […] Non controllando consciamente le domande che ci poniamo abitualmente, limitiamo la nostra portata emozionale e quindi la capacità di sfruttare le risorse che abbiamo a disposizione.
E’ quindi parte integrante di un percorso di coaching ben strutturato insegnare a chi vi prende parte come porsi domande efficaci: allenarsi a farlo apre possibilità di pensiero e di azione migliori, che altrimenti sono precluse.
QUESTIONE DI FOCUS MENTALE
Chiaramente, non sto parlando di qualsiasi domanda. Ricorda che quando comunichiamo lo facciamo sempre a due livelli: uno è il livello di contenuto e un altro è il livello emozionale (o di relazione). Se chiedo a una persona “Sai dirmi che ore sono?” pongo una domanda indiretta che presume una risposta di puro contenuto. E’ difficile far rilassare qualcuno o innervosirlo semplicemente ponendogli una questione così, non trovi?
Se invece chiedo a una persona: “Hai presente quando sei in vacanza e profondamente rilassato, con il corpo morbidamente adagiato su un asciugamano in spiaggia, il calore del sole sulla pelle e il suono delle onde del mare in sottofondo?” ecco che sto inducendo uno stato d’animo usando la domanda per favorire uno stato emotivo, il relax in questo caso 😎
Le domande sono potenti quando vuoi cambiare il focus mentale degli altri, cioè dirigere la loro attenzione. E quando cambi loro il focus, agevoli anche un cambiamento di stato d’animo. Ricordo una conversazione con un calciatore professionista di qualche anno fa: mi stava raccontando una scena vissuta nello spogliatoio e ti parlo di un grande team che milita in Serie A, la massima divisione dei nostri campionati. La squadra stava vivendo un momento difficile di un match (che era anche un sentito derby cittadino), stava perdendo sul campo e c’era la pausa tra i due tempi di gioco. Tutti erano silenziosi, riuniti nello spogliatoio per raccogliere le idee e recuperare energie. L’allenatore, tra l’altro ancora oggi famoso e fortissimo mister in attività, in quell’occasione scelse le parole sbagliate, urlando ai suoi: “Perché c…o non state facendo ciò che abbiamo provato in allenamento?” e lanciando una bottiglietta d’acqua contro il muro per sottolineare la sua rabbia.
Una richiesta del genere, posta oltretutto in tale modo, costringe il cervello degli atleti, già impegnato a trovare soluzioni a qualcosa che non sta funzionando e a gestire uno stato d’animo che era di frustrazione, confusione e paura di perdere, a cercare tutte le motivazioni per cui non si riesce a performare come previsto. E che genere di risposte avranno trovato quel giorno i calciatori? Avevo una fonte diretta, quindi ti scrivo con sicurezza la risposta:
- Non ci riusciamo perché l’avversario ha anticipato la nostre mosse e ciò che pensavamo di portare in campo come strategia… fallisce
- Non ci riusciamo perché siamo più stanchi fisicamente, abbiamo giocato un’altra partita importante meno di tre giorni fa
- Non ci riusciamo perché l’avversario è meglio organizzato ed è pieno di campioni in campo, mentre noi abbiamo tre infortunati che avrebbero dovuto giocare
- Non ci riusciamo perché oggi è una giornata dove tutto va storto, il pubblico se ne è accorto e abbiamo sentito anche qualche fischio
Ora chiedo io a te: questo tipo di risposte migliorano lo stato d’animo degli atleti? Sono risposte che mettono loro nelle condizioni di trovare soluzioni e generare cambiamenti per risolvere un problema immediato, quello di andare in campo e ribaltare il risultato?
Siamo chiaramente davanti a una domanda che non funziona in questo senso (e in quel caso non funzionò, la squadra perse due a zero).
Un’alternativa più efficace sarebbe potuta essere: “OK ragazzi, stiamo perdendo ma siamo in corsa e c’è metà partita da giocare: cosa possiamo cambiare ora per riuscire a mettere in pratica ciò che proviamo in allenamento e mettere loro in difficoltà?”
Noti la differenza? Questa è una domanda generativa, perché porta il cervello di chi ascolta a focalizzarsi sulle soluzioni, invece che sulla situazione da risolvere. Quando troviamo delle soluzioni, anche solo ipotetiche, favoriamo anche un cambiamento di stato d’animo: la frustrazione può diventare curiosità (“uhm, vediamo se questa idea funziona…”), la paura può diventare fiducia, la confusione può diventare lucidità… nello sport (come nella vita) le cose cambiano in fretta e l’inizio è sempre un modo diverso di pensare e di pensarsi…
PAROLE POTENTI
Sono davvero così potenti le domande? Te ne sto parlando come di uno strumento in grado di fare la differenza tra la vittoria e la sconfitta, e non solo nello sport. Il business segue le stesse dinamiche (pensa all’ultima riunione aziendale a cui hai partecipato e nota quali domande hanno condotto a soluzioni attuabili e quali invece non hanno fatto altro che accrescere la sensazione di disagio per un problema o – al limite – a lasciare le cose com’erano) e la tua vita privata non fa eccezione.
Se chiedi al tuo partner, non appena torni a casa dal lavoro e lo incontri a fine giornata, “Che cos’hai che non va? Hai una faccia…” da una parte (a livello di contenuto) potrai risultare sinceramente interessato al suo benessere e preoccupato perché non lo vedi stare bene, mentre dall’altra parte (a livello di relazione) difficilmente cambierai il suo pessimo umore. Cosa vuoi ottenere con quella domanda? Parti sempre da qui… prima di porla.
Il messaggio qui per te è: scegli le domande che poni con un obiettivo in testa. Non ci sono domande giuste o sbagliate così come non ce ne sono di buone o cattive, ci sono semplicemente domande che funzionano e altre inadatte, ce ne sono di sparate a caso e altre che fanno parte di una strategia di comunicazione.
Naturalmente, le domande sono potenti ed efficaci anche quando parliamo di dialogo interno, infatti le integro in attività di coaching che mirano a migliorare il tuo self talk. Quando poni delle domande a te stesso, agisci sul tuo stato d’animo. Agire per me vuol dire essenzialmente tre possibili effetti: lasci lo stato d’animo com’è, amplifichi uno stato d’animo esistente oppure cominci a modificarlo. Tutto dipende da cosa ti chiedi.
Come regola generale, ricordati che:
- Le domande che iniziano con “Perché…” sono domande che tendono ad amplificare uno stato d’animo già presente. Ad esempio: “Perché stai sorridendo?” è una domanda che porta chi la ascolta ad approfondire i motivi di una situazione divertente e piacevole
- Le domande che iniziano con “Come / Cosa / In che modo…” sono domande che aprono a nuove possibilità e possono modificare uno stato emotivo. Ad esempio: “In che modo possiamo risolvere questo conflitto?”, “Come possiamo migliorare ancora la nostra strategia di marketing?” oppure “Cosa c’è di positivo nell’affrontare questa situazione?” sono domande che dirigono il focus verso o soluzioni o qualcosa che stiamo già facendo bene.
Ricordati infine che tutto ciò che ti ho scritto oggi riguardo il potere delle domande nel coaching non prescinde in ogni caso da un corretto uso del tono della tua voce e in generale della tua comunicazione non verbale, ma questa è un’altra storia che in futuro tratteremo in modo approfondito.
Se vuoi leggere di più dell’opera di Anthony Robbins da cui ho tratto lo spunto per questo post puoi farlo qui:
Sono specializzato in coaching e lo rendo facile: aiuto le persone a raggiungere e migliorare i risultati sportivi, lavorativi e personali. Curo e gestisco da oltre 15 anni diversi siti web dedicati al coaching e sono autore per Sperling & Kupfer.
Ho all’attivo più di 350 collaborazioni con sportivi, professionisti, aziende.
Sono specializzato in tecniche di allenamento mentale e appassionato di comunicazione efficace.