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Presente e futuro del Mental Coach nel Calcio

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Nella mia esperienza di mental coach, che compie 10 anni in queste settimane e che mi sento di considerare ormai come significativa, ho conosciuto e lavorato con decine di atleti di vario livello e impegnati in un ampio ventaglio di discipline.

Nel mondo del calcio ho avuto occasione di confrontarmi con realtà molto diverse, cominciando alcuni anni fa a lavorare con giovani atleti impegnati nelle selezioni Primavera di importanti società calcistiche del Piemonte e continuando a salire di livello nel tempo, seguendo calciatori in Lega Pro, in Serie B e per concludere in Serie A.

Queste collaborazioni mi hanno portato nel tempo a conoscere anche altri professionisti impegnati nel medesimo ambiente, quali ad esempio alcuni agenti dei calciatori stessi (più noti sui media come procuratori, anche se il termine ormai è obsoleto), psicologi dello sport, alcuni dirigenti, preparatori atletici, esperti di alimentazione e social media manager.

Mental Coach Calcio

Legando tra loro le informazioni raccolte da queste fonti, che sono eterogenee, e combinandole con la mia esperienza diretta come mental coach dei calciatori stessi ho avuto modo di elaborare una serie di considerazioni relative al mondo del calcio in Italia e al ruolo della preparazione mentale nello sport nazionale. L’idea che porta alla pubblicazione di questo post nasce così dalla volontà di fare il punto sulla situazione dell’allenamento mentale nel calcio e proporre la mia visione sui possibili sviluppi futuri.

Un mondo che ha bisogno di correre

Il calcio è una scelta che farà ancora per decenni da padrona nei sogni dei giovani ragazzi che iniziano a cimentarsi in una disciplina sportiva. Una grande copertura mediatica, la facilità di partecipazione (tutti noi ricordiamo due zaini gettati sull’erba di un prato a fungere da pali e un pallone sgualcito gelosamente custodito nello zaino di scuola: ancora oggi non occorre altro a un gruppo di ragazzi per iniziare a giocare a calcio, rendendolo anche per questo uno sport straordinariamente democratico e universale), una fantastica tradizione a livello internazionale legata a importantissimi successi nel passato ne fanno ancora oggi il candidato numero uno ad essere scelto dai giovani come sport preferito.

Non cambierà molto negli anni a venire e anzi continuerà a crescere il fenomeno già in atto di cui da tempo parlo, legato al livellamento tecnico, tattico ed atletico dei ragazzi. Ciò significa che miglioreremo ancora e tale crescita riguarderà più atleti: oggi, ad esempio, una scuola calcio di alto livello è accessibile praticamente a chiunque, così come è per tutti più facile accedere a informazioni di qualità che riguardino la preparazione atletica e l’alimentazione. Anche i giovani allenatori hanno sempre più opportunità di migliorarsi, grazie a varie iniziative di divulgazione dei metodi di lavoro dei mister di alto livello e alla comunicazione delle loro filosofie di gioco dal punto di vista tattico.

Ciò ribadisce, in definitiva, che dovranno necessariamente essere altri elementi a fare la differenza ad alto livello e tra questi la preparazione mentale non mancherà di essere fortemente presente.

Da questo punto di vista era tanta la strada da percorrere ed è altrettanta ancora oggi. Non ho notato, in dieci anni di attività, significativi progressi in questo ambito specifico e ad oggi continuano ad essere pochi i calciatori che scelgono un mental coach per allenarsi anche dal punto di vista mentale e praticamente non ci sono società sportive che ne abbiano uno presente nello staff. L’azione del mental coach nel calcio è ancora legata a iniziative estemporanee dei singoli atleti e non gode di alcune struttura e tantomeno programmazione futura.

Questo, a mio parere, avviene per diversi motivi che mi propongo di analizzare.

Mancanza di percezione del valore

La maggior parte degli atleti che ho conosciuto nel mio lavoro era da pochissimo entrata in contatto con il mondo del coaching sportivo. Detto in parole semplici, generalmente il calciatore non sa che esistono figure specializzate per allenare anche la mente . Perciò, l’atleta riesce a trovare il suo mental coach solo in casi eccezionali, ovvero quando qualcuno nel suo ambiente di amicizie e conoscenze gliene parla oppure quando, a seguito di un momento di difficoltà particolare (magari perché sta giocando poco, o non riesce a salire di categoria o ancora è in un momento di infortunio e non recupera nei tempi previsti) autonomamente si informa in rete e visita il sito web di un professionista.

Questo stato di cose è dettato dal fatto che il calciatore non sa di potersi migliorare ancora e pensa che essere al top significhi complessivamente aver sviluppato un’ottima tecnica di base e stare bene fisicamente, alimentandosi con coerenza.

Pur restando ovvio che questi elementi sono vitali nella performance sportiva e imprescindibili (quindi vanno sempre curati al massimo livello possibile), è la capacità di gestire il proprio stato d’animo, la motivazione, gli obiettivi e la comunicazione efficace a permettere a un atleta professionista di esprimere in gara in modo costante e affidabile il massimo del potenziale che ha a disposizione.

Finché questo concetto non sarà diffuso e riconosciuto, continueremo ad assistere a calciatori dalla stagione altalenante nel rendimento, con picchi inaspettati e imprevedibili intervallati a veri e propri momenti di crisi sportiva, con tutte le conseguenze dannose che ne derivano. Ci sarebbe anche un capitolo a parte che riguarda il ruolo della mente nel favorire o al contrario allontanare alcuni tipi di infortuni, mi riprometto di parlarne in un articolo successivo.

Approssimazione mediatica

Purtroppo il coaching in Italia, almeno nel mondo del calcio, non gode di una copertura mediatica di qualità e anzi spesso il tenore degli interventi dei giornalisti in materia è risultato approssimativo e mirato, come d’altra parte tutto il mondo dell’informazione in genere, ad attrarre lettori sul cartaceo o click sui siti web senza indagare in modo specifico e preciso il meraviglioso mondo della preparazione mentale.

Nelle scorse stagioni abbiamo toccato punti molto bassi in ambito giornalistico, con articoli su quotidiani a diffusione nazionale degne di testate di gossip piuttosto che dedite a fare informazione seria sul mondo dello sport e ciò che ruota attorno.

Nonostante ormai l’informazione di qualità sia facilmente accessibile, oggi si continua a parlare di motivatori piuttosto che di “allenatori mentali” e già dalla terminologia si comprende quanta informazione manchi proprio in chi l’informazione dovrebbe garantirla.

Fortunatamente esistono anche giornalisti più attenti e interessati a conoscere che potranno, mi auguro nel breve periodo, iniziare a diffondere correttamente i concetti della preparazione mentale, nell’interesse dei calciatori stessi prima di tutto.

Fino a che ciò non accadrà, mettendosi nei panni di un atleta non è difficile comprendere che ci possano essere delle perplessità relative all’argomento.

Al di là dell’aspetto mediatico della professione, che come visto va quindi nettamente portato a crescere, è responsabilità anche dei singoli coach saper trasferire con efficacia le proprie idee e far percepire al valore di ciò che possono offrire.

Mancanza di riconoscimenti ufficiali

Il coaching in Italia non è ufficialmente riconosciuto e nei fatti chiunque potrebbe autodefinirsi mental coach. Esistono ottimi percorsi formativi per acquisire le competenze e abilità che occorrono per essere preparatori mentali di successo, erogati da società private. Ci sono anche associazioni di coach che si propongono tra le altre cose di uniformare la qualità e preparazione dei propri associati, anch’esse tuttavia sono private ed è sufficiente pagarne la quota annuale per farne parte. Questo di fatto impedisce al calciatore di sapere esattamente chi si trova di fronte, se è professionista o meno, che qualità umane e competenze abbia e se sia in grado o meno di portarlo a migliorare. Ad oggi, per i mental coach possono parlare solo i risultati ed è determinante la capacità di saper entrare rapidamente in empatia con l’atleta che li sceglie e dimostrare sul campo come possono cambiare le carte in tavola.

Se vuoi approfondire puoi leggere questo mio articolo pubblicato nel 2011 dove suggerisco alcuni criteri per scegliere correttamente il tuo mental coach.

Paura di cambiare

Forzando il concetto con una generalizzazione, siamo un Paese che non ama cambiare. Viviamo di tradizioni, ci crogioliamo nel nostro glorioso passato e basta notare come le maggiori cariche istituzionali e sportive siano nelle esperti mani di uomini e donne nati a ridosso della metà del secolo scorso. Viviamo in un Paese vecchio che ha idee vecchie e fa fatica a rinnovarle. Non è facile proporre concetti innovativi (seppur collaudati ormai da diversi anni di pratica e risultati anche eccezionali) e si incontrano molte resistenze. Questa è la ragione per cui su diversi temi, e il coaching ne fa parte, siamo indietro rispetto a molte altre realtà internazionali, rischiando tra l’altro di pagarne le conseguenze quando i nostri atleti varcano i confini italiani).

La paura del cambiamento c’è anche nel calcio e generalmente il mental coach incontra due tipi di reazioni quando si confronta con l’ambiente: c’è chi è curioso di saperne di più (una piccola fetta di individui) e chi invece pensa di non averne bisogno senza preoccuparsi di conoscere la materia. Ad esempio, ancora oggi abbiamo (e pensandoci mi pare incredibile oltre che un vero peccato) allenatori che si appoggiano a una comunicazione altamente imprecisa e demotivante, quando basterebbe migliorarne alcuni aspetti chiave per essere immediatamente più efficaci e capaci di generare emozioni positive nei propri atleti, nell’interesse di tutti e degli allenatori stessi per primi.

Distorsione e confusione

Molte realtà sportive non prevedono di avvalersi di un mental coach e giustificano la scelta con il classico abbiamo già lo psicologo nel nostro straff. L’errore di fondo qui è che il mental coach non è uno psicologo dello sport così come uno psicologo non è un mental coach, ci sono ruoli distinti, metodologie di lavoro molto diverse e soprattutto un approccio completamente differente allo studio e all’eccellenza della mente umana. Ho conosciuto diversi atleti restii a confrontarsi con un professionista della preparazione mentale, sostenendo la tesi (peraltro corretta) del non sono certo malato!

Il fatto è che il mental coach lavora con atleti sani e non è autorizzato né qualificato a intervenire su eventuali patologie. Quando decidi di prendere parte a un percorso di allenamento mentale lo fai perché stai già bene, ma sei curioso e motivato a migliorarti ancora e conoscere tecniche, metodologie e strategie per ottenere il meglio da te stesso sul campo e mantenere la tua eccellenza il più a lungo possibile nel tempo. Tra l’altro questo non è un problema di percezione che riguarda solo la figura del coach, ma anche molti ottimi psicologi devono subirlo fino a che non passerà il messaggio che si lavora sulla testa per migliorarsi, e non per curarsi.

Tempo fa leggevo l’intervista di un famoso nuotatore italiano (è ancora online e se volete lo trovate qui) che sosteneva che lavorare con un mental coach sia da deboli e chi è forte non ne ha bisogno. Questo è un buon esempio di come la figura del coach possa essere distorta nella percezione di qualche atleta: in realtà tutti possiamo migliorare e le eccellenze nel mondo dello sport sono davvero pochissime. Comprendere di avere del margine di miglioramento da colmare è l’esatto contrario di una mentalità debole, perché dimostra un approccio allo sport (e più in generale alla vita) basato sul concetto del miglioramento continuo.

Prospettive future

Indovinare ciò che accadrà da qui ai prossimi dieci anni non è semplice ma neppure impossibile. Personalmente credo che i calciatori che sceglieranno i benefici di un percorso di coaching sportivo resteranno una percentuale non elevata, almeno fino a che non ci sarà un cambio generale di mentalità e di visione verso il futuro di questo fantastico sport. Sarà importante anche l’atteggiamento dei media verso il fenomeno, che ha bisogno di essere realmente compreso per ciò che è, cioè uno studio e una pratica seria basata su discipline di efficacia ormai conclamata.

Dall’altra parte avremo qualche eccellenza: atleti già fortissimi ma non paghi, vogliosi di indagare ancora più a fondo le proprie qualità e desiderosi di toccare il limite massimo della propria prestazione, con l’obiettivo di superarlo.

Grazie per il tempo dedicato alla lettura di questo articolo e alla prossima pubblicazione.






 

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