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L’esempio di un grande sport coach

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Ovvero: che cosa puoi imparare da uno dei campioni più grandi di tutti i tempi.

Le esperienze che un essere umano può affrontare nella vita sono così numerose a variegate da rendere il tempo la risorsa più importante di cui chiunque possa disporre. La realtà in cui siamo immersi ci spinge a risparmiare tempo, guadagnare tempo, ottimizzare il tempo. In quest’ottica, è una buona idea imparare dagli esempi, ovvero riassumere e studiare i vissuti altrui per estrarne gli insegnamenti più utili. Quando studi la biografia e la storia di grandi personaggi del passato, per esempio, cogli l’essenza della loro vita – che tu non hai vissuto – e così facendo cresci e impari.

Anche nel coaching è così. Non c’è il tempo per sperimentare ogni singola tecnica, per ottimizzare ogni strategia, per commettere ogni singolo sbaglio così da scoprire empiricamente la strada migliore. Occorre affidarsi a ciò che già funziona, ottimizzarlo, migliorarlo. Un buon coach sa che deve studiare chi già ottiene risultati straordinari, analizzare la sua comunicazione, conoscere a fondo le sue strategie motivazionali, estrarne i valori, modellarne i comportamenti.

Sono nato e cresciuto a Torino e ho sempre seguito e praticato il calcio con grande passione e interesse, cosa che continuerò a fare in quanto trovo in questo sport grandi esempi e significati metaforici che molto hanno a che fare con le sfide della vita quotidiana. Uno sport meraviglioso, al di là dei luoghi comuni, dove seguo giovani ragazzi che lavorano duramente per diventare campioni, tocco con mano i sacrifici loro e delle famiglie, vivo con loro le aspettative, le speranze, i sogni, i progetti. Uno sport che unisce l’Italia, che conquista le piazze, che emoziona, che colora le città. Uno sport dove ogni singolo dettaglio è studiato e programmato nei minimi particolari, dall’alimentazione alla tattica, dalla tecnica alla gestione umana, ma che ha infine un risultato fortemente dipendente da ciò che non puoi controllare. E questo è incredibilmente affascinante.

Un centimetro più in là, e i tuoi sogni vanno in fumo. Un istante prima sul pallone, e sollevi un trofeo. Il calcio è intrinsecamente misterioso, crudele, folle, indescrivibile.

Dicevo di Torino e del calcio. Ieri sono stato testimone di una festa straordinaria che ha coinvolto la città. Al di là dell’interesse che si può avere riguardo questo mondo e della tua fede calcistica, bisogna ammettere che sentire e vedere 400mila persone nelle piazze e nelle vie più belle di Torino esultare, cantare, gioire… è stato davvero un momento di grande energia, un condensato di emozioni che riempie il cuore.

Quella che vedi in questa foto è Piazza Castello, proprio nel cuore di Torino. Riesci ad immaginare quale forza possa spingere una folla del genere a comportarsi in questo modo? Occorre smuovere davvero grandissime emozioni per spingere le persone a scendere in piazza e festeggiare con così tanta forza, energia, passione. In pochi ci riescono. Leggevo questa mattina su alcuni giornali che Torino non aveva mai goduto di una partecipazione pubblica di queste dimensioni per nessun altro evento in passato, pur essendo una città straordinariamente ricca di storia.

Qualcosa deve aver contribuito a tutto questo e dev’essere riuscito a toccare nel profondo una popolazione tradizionalmente misurata e pacata con quella che abita il capoluogo piemontese. Ed è qualcosa che ha toccato anche me, non solo come amante dello sport e del calcio, ma anche come professionista, come sport coach, come individuo che lavora per far parte di un mondo – quello degli atleti – in cui vuole dare un contributo, portare un miglioramento, provocare una crescita.

Credo di conoscere bene uno degli elementi che ha fatto la differenza e ha reso possibile che ciò che è avvenuto accadesse. Il calcio italiano ieri ha salutato uno dei più grandi campioni che abbiamo mai avuto l’onore di ammirare nei nostri stadi. Un leader totale, un uomo integro, un avversario riconosciuto, rispettato e amato, un capitano coraggioso, un atleta splendido, un esempio per tutti. Sto parlando, naturalmente, di Alessandro Del Piero.

Dopo 19 anni, 704 presenze e 289 gol, Del Piero lascia il calcio italiano e lo fa con queste parole, a cui è oggettivamente difficile aggiungere qualcosa. Del Piero è stato per il calcio quella che si chiama una bandiera: ha sempre militato con la stessa squadra fin dagli esordi nel calcio di alto livello, ma soprattutto ci ha insegnato ciò che ogni allenatore, ogni dirigente, ogni coach dovrebbe impegnarsi ad insegnare agli atleti che ha la responsabilità di allenare e crescere.

Ci ha insegnato che il lavoro paga e se vuoi essere un campione devi pensare da campione e agire da campione. Devi allenarti ogni giorno come se fosse una finale. Devi alimentarti con rigore. Devi dormire il giusto. Devi rispettare il tuo corpo perché è attraverso esso che si esprime sul campo il tuo talento.

Ci ha insegnato che le parole pesano, quindi meglio sceglierle con cura. Mai un commento fuori posto, un’intervista sopra le righe, un’esagerazione davanti ai microfoni. Se vuoi essere un campione, devi comunicare come un campione.

Ci ha insegnato che i gesti contano, ed è una tua responsabilità scegliere come comportarti. Nessuna scenata in campo, mai una mancanza di rispetto verso un avversario. Neppure un infortunio simulato per guadagnare tempo, per ingannare arbitro e avversari. Del Piero ha preso botte e si è rialzato tutte le volte che ha potuto farlo.

Ci ha insegnato che la correttezza è un valore. In 19 anni di carriera e quasi 50mila minuti di calcio giocato, Del Piero colleziona appena 50 ammonizioni e 2 espulsioni. Un altro dei suoi record.

Ci ha insegnato che anche il rispetto è un valore. Ci ha insegnato la famiglia è tantissimo e la stabilità emotiva aiuta a vincere. Ci ha insegnato che il leader è un condottiero che sa farsi seguire. Ci ha insegnato che dagli infortuni, anche quelli gravi, ci si rialza più forti di prima. Ci ha insegnato che l’umiltà ti può portare in Serie B un mese dopo essere diventato campione del mondo, e l’ambizione può renderti capocannoniere di quel campionato. Ci ha insegnato come mantenere al massimo la motivazione per oltre 20 anni e dopo avere vinto tutto ciò che c’era da vincere.

Non è un caso se ieri, alla sua ultima apparizione in campo a Torino, ho visto uomini e donne piangere. Non è un caso se ho sentito gli avversari applaudire. Non è un caso se una città ha gridato il suo nome per ore senza soluzione di continuità. Tutto questo Alessandro Del Piero se l’è conquistato e meritato perché ha pensato ed agito non solo nel modo giusto, ma nel modo migliore, vincente, nella vita e nello sport.

Mi auguro che ai bambini venga raccontata la sua storia e che una volta cresciuti vogliano leggere i suoi libri. E a quel punto assorbire e apprendere da lui il più possibile, perché Del Piero è uno dei più grandi coach del mondo, un calciatore unico, un professionista esemplare, un grande ricordo per tutti coloro che l’hanno amato.

E questo è anche il mio umile modo per dirti grazie. Ciao Alessandro.






 

2 Responses

  1. Enrico ha detto:

    Ci ha insegnato anche che bisogna sempre stare al proprio posto rispettando in silenzio le decisioni prese che chi “ci sta sopra”, nel suo caso, società e allenatori.
    Troppo ventenni sono convinti di essere i padroni del mondo e non accettano ordini da nessuno. Ma tanto loro tra 20 anni saranno solo degli sconosciuti…

  2. Sì, giusto. Anche questo è un insegnamento importante, frutto di grande giudizio, consapevolezza ed umiltà. Il rispetto dei ruoli è fondamentale in un team vincente.

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