Attorno alla professione del Mental Coach (o più genericamente al concetto di motivatore) c’è ancora confusione, forse perché si tratta di una figura professionale relativamente nuova e in fase di radicamento nella nostra cultura. Lo spunto per questo articolo, che in realtà ho realizzato essere nei miei pensieri già da tempo, è arrivato ieri mentre distrattamente seguivo in televisione un incontro di calcio.
Nell’idea comune si fa strada – come sempre – ciò che passano i media e purtroppo sono proprio siti web sportivi, televisioni e carta stampata a non conoscere ancora con il giusto dettaglio la professione di cui mi occupo, tranne qualche lodevole eccezione resa possibile da giornalisti particolarmente curiosi e precisi. Il risultato è che il termine che più spesso viene offerto al pubblico è motivatore, mentre a mio avviso occorre distingue tra l’essere un motivatore ed essere un coach che lavora sull’aspetto mentale degli atleti.
Nello sport di alto livello ci sono professionisti che lavorano con il proprio motivatore, mentre ce ne sono altri che lavorano con il proprio mental coach. Le differenze sono sostanziali e l’obiettivo di questo articolo è sottolinearle così da cominciare a distinguere i due tipi di approccio.
Come ho spiegato nel mio ebook gratuito, innanzitutto occorre ricordare che il termine motivazione deriva dal motus, termine che sta a significare un movimento (nello specifico di un soggetto verso ciò che desidera). Quindi, in sostanza, un motivatore è una persona che riesce, tramite il proprio atteggiamento, le parole e l’esempio, a far muovere – cioè a far agire – un atleta affinché il raggiungimento dei suoi obiettivi sia più fattibile.
Va da sé che non occorrono molte abilità specifiche per motivare qualcuno: è sufficiente conoscere le leve motivazionali che spingono l’individuo ad agire e usarle. A grandi linee ci sono due grandi categorie di persone: coloro che agiscono spinti da una leva sul dolore e coloro che lo fanno se stimolati da una leva sul piacere. Nel primo gruppo rientrano gli individui che, per mettersi in moto (motus, appunto), si focalizzano sulle conseguenze che il non farlo provocherà. L’esempio tipico è lo studente che inizia a studiare solo in prossimità dell’esame, perché ha paura di non superarlo. Nel secondo gruppo rientrano coloro che anticipano mentalmente il piacere del risultato. Un buon esempio è dato dall’atleta che si allena in ogni condizione climatica e tutti i giorni della settimana perché sa che l’allenamento genera benessere e favorisce un buon risultato in gara. Vuole vincere e lavora perché accada, gli piace l’idea di arrivare primo e questo lo motiva.
Tutti noi siamo mossi da queste due grandi forze, che esistono contemporaneamente in ogni persona. Individualmente, sentiamo di più una leva rispetto ad un’altra (e questa sensibilità cambia nel tempo e in base alla situazione) e un buon motivatore deve saper riconoscere quale delle due è più efficace nel momento in cui occorre prendere una decisione.
Un altro tema che fa parte dell’ambito della motivazione ha a che fare con gli scopi che sorreggono gli obiettivi di un individuo: maggiori sono i “perché” che spingono al raggiungimento di obiettivo, più è facile che esso ci motivi.
Qui finisce in termini strettamente tecnici il lavoro del motivatore. Le modalità tramite cui si motiva qualcuno ad agire sono personali: al momento la maggior parte delle persone crede che motivare significhi semplicemente affermare ad alta voce “Forza che ce la fai, forza che manca poco!” (sentito con le mie orecchie proprio ieri sera assistendo all’incontro di cui ho accennato a inizio articolo, inutile aggiungere che il salto culturale che dobbiamo fare è consistente) ma mi auguro di essere riuscito a spiegare in queste poche righe che la questione è un po’ più complessa di così.
Per quanto riguarda invece il Mental Coaching, è corretto affermare che un coach è anche un motivatore, in quanto deve essere in grado di saper lavorare, se occorre, su questo aspetto della preparazione mentale, ma deve saper anche intervenire su ambiti più complessi e articolati, come la gestione sistematica dello stato d’animo, la comunicazione all’interno del team o rivolta verso se stessi, verso l’allenatore e i compagni di squadra, l’uso degli ancoraggi per potenziare stati di benessere, la gestione dell’ansia prima della gara e in generale della pressione esterna, la corretta identità dell’atleta che deve sentirsi profondamente e totalmente adatto al ruolo che ricopre e vincente in ciò che fa.
In questa pagina ho definito genericamente il coaching elencandone le caratteristiche principali. In definitiva il messaggio che intendo portare con questo contributo è che un motivatore può non essere necessariamente un mental coach, mentre un mental coach deve essere necessariamente anche un buon motivatore.
Sta naturalmente alle esigenze specifiche di ciascuno scegliere se lavorare con l’uno o con l’altro.
Sono specializzato in coaching e lo rendo facile: aiuto le persone a raggiungere e migliorare i risultati sportivi, lavorativi e personali. Curo e gestisco da oltre 15 anni diversi siti web dedicati al coaching e sono autore per Sperling & Kupfer.
Ho all’attivo più di 350 collaborazioni con sportivi, professionisti, aziende.
Sono specializzato in tecniche di allenamento mentale e appassionato di comunicazione efficace.
3 Responses
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Salve giovedì sosterrò un’esame di allenatore di calcio a 5 di 1 livello e dovrò preparare delle slide su come motivare una ipotetica squadra di dilettanti in prossimità di una gara secca playoff
Vorrei dei suggerimenti su come preparare il lavoro non essendo un mental coach